Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori.
Fuor di metafora, partiamo dal letame. E dalle sue eccezioni: gli Indimenticabili, la finale di Chalon, l’immanenza di un Artiglio “veni vidi vici” che per due volte ti rivolta la squadra come un calzino e la salva, qualche domenica di quelle giuste a Masnago, una società che cambia e si impegna a tornare seria. L’odore più pungente viene dai risultati diversi dalle aspettative dichiarate (l’attributo fa tutta la differenza del mondo), dalle meteore con la canotta che avremmo ammirato volentieri in altri cieli, dai soldi talvolta sperperati, dai litigi, dai “casi”, dagli addii.
E non ha sentore di mughetto nemmeno la constatazione del fatto che il mondo imprenditoriale che conta abbia girato ormai da diverso tempo le spalle alla massima espressione sportiva del territorio: chi detiene la ricchezza vera (e potremmo farvi almeno dieci nomi per la provincia di Varese) finge di non vedere, finge di non potere, finge di non conoscere; oppure si gira solo di trequarti, concedendosi il minimo indispensabile e chiedendo pure di essere ringraziato.
Letame, di quello “profumato” assai.
Dal quale sono nati due fiori. Forti e resistenti come la fiamma che continua ad ardere sotto la cenere (la fiamma di una regalità che arde sotto la cenere di una Storia troppo ingombrante e non più attuale), belli come un sorriso inaspettato, piccoli ed esposti al vento ma ben piantanti nel loro fazzoletto di terra, aggrappati a essa grazie a passione e generosità.
Il primo è Varese nel Cuore, la piccola-media imprenditoria che fa arrossire gli zio Paperone distratti di cui sopra, la squadra di una salvezza ben più importante di quella da conquistare sul parquet, la sostanza che tra alti e bassi garantisce da più di un lustro l’unica cosa che conta davvero: l’esistenza, la sopravvivenza.
Il secondo, che ieri ha festeggiato il suo primo compleanno, è Il Basket siamo Noi. Un lattante che in 365 giorni ha però già imparato a onorare gli impegni con la serietà dell’uomo maturo: la progressione nel numero di iscritti (ora 400) e quella nell’acquisto delle quote societarie, il sostegno economico (e organizzativo, e di idee) e l’abnegazione verso i soci che lo compongono.
Il Basket siamo Noi.
Noi, i tifosi, acciaio inossidabile che non risente di nulla, che non viene corroso nemmeno dall’astinenza da gioie sportive o dalle pezze al culo. Noi, anzi, che la necessità aguzza l’ingegno.
Noi, quelli che si prendono l’acqua di inverno o il caldo in primavera fuori dal palazzetto, per strappare un sì e 100 euro annuali a chi - in fondo in fondo - nel cuore nasconde lo stesso amore e lo stesso ardore.
Noi, quelli che dietro a un inglesismo da alta finanza come “Trust”, celano la semplicità di una famiglia. Noi, magliette rosse che i palazzetti d’Italia hanno imparato a scoprire: se si vince bene, se no la compagnia e una buona mangiata bastano e avanzano. Noi, che coloriamo Masnago con le coreografie.
Noi, che il passato non ci condiziona se non in positivo, il presente non ci spaventa e il futuro lo sogniamo.
Noi, che la mamma di Lamonica l’abbiamo sempre nel cuore, quella di Myers pure e che Milano è tale quale a Cantù (se non peggio). Noi, che il calcio è bello, bellissimo, ma viene dopo. Noi, che così ci siamo nati, non ci siamo diventati.
Noi, che siamo azionisti della Pallacanestro Varese (e scusate se è poco).
Noi. Potenzialmente tutti. Anche quelli che ancora non ci sono, perché non conoscono, non capiscono, diffidano o non vogliono: tranquilli, vi aspettiamo.
Così, la prossima volta, Dunston (e magari pure Mike Green) ce lo teniamo per davvero.
Fabio Gandini
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