
C’è lo straniero tipo, quello dal vocabolario sempre verde, adattabile a tutte le stagioni, tutte le squadre, tutte le situazioni. Ovvietà ad uso e consumo del pubblico, tempo sostanzialmente perso. Poi c’è Oderah Anosike, from New York: nessuna frase fatta, assenza di piaggeria, poca ritrosia a parlare di argomenti difficili o delicati, onestà. Una chiacchierata con lui, mentre Masnago è ancora spenta, è un tuffo - autentico, non plastificato - in una stagione da correggere, in problemi da non nascondere, in un passato che diventa magistero e in un futuro che contempla l’aspirazione. Parola a lui, con l’avvertenza di leggere non solo le righe, ma anche “tra” esse.
Anosike, non giriamoci intorno: cosa è andato storto nella prima parte della stagione?
Abbiamo avuto molti problemi nel cercare un modo per giocare insieme, semplicemente. In estate non abbiamo mai trovato la chimica giusta e ciò si è ripercosso fino a oggi: secondo me la nostra stagione insoddisfacente è tutta qui
Ora è arrivato Attilio Caja: come si trova con lui?
Mi piace davvero molto giocare per lui: coach Caja è un ottimo allenatore, ma prima di tutto è un grande uomo. Lo dimostra nel lavoro di tutti i giorni, non solo in palestra, ed è un esempio per tutti i giocatori. Mi piace che non faccia figli e figliastri, che non applichi alcun favoritismo: non importa che tu sia americano, italiano, vecchio, giovane, un ex NBA, un rookie... non gli interessa. Se giochi bene e fai ciò che lui ti chiede, stai in campo; se non lo ascolti, resti fuori.
Forse non è un caso, allora, che le ultime partite abbiano messo in risalto una crescita della Openjobmetis... Il lavoro sta effettivamente pagando?
Tutti i giorni lavoriamo davvero duramente in allenamento, guardiamo tantissimi video sia sui nostri errori che su ciò che facciamo correttamente. Abbiamo un grande coach, stiamo migliorando e cercando di mettere in pratica ciò che lui ci chiede. E siamo felici, perché pensiamo ci sia ancora abbastanza tempo per cambiare il corso degli eventi.
Come giudica la sua stagione finora?
Credo sia una buona annata, nulla di eccezionale e non la migliore che ho avuto in Italia. Di sicuro, però, non è negativa. All’inizio credo sia stato difficile trovare il ritmo con i miei compagni e non è stato semplice giocare con Norvel dietro di me, senza quindi avere a disposizione i minuti che di solito ho. Ora, però, sto trovando il mio ritmo e il mio ruolo: il coach crede molto in me e mi concede qualche errore, Ora sono davvero felice.
Che tipo di gioco offensivo predilige, Oderah? Sa, l’argomento è abbastanza discusso tra i tifosi... E, soprattutto: pensa che il modo di giocare della squadra dia risalto alle sue qualità?
Se mi avete visto giocare a Pesaro, saprete che lì si proponeva nel 99% dei casi il pick ’n roll, mentre ad Avellino forse si arrivava all’85%. Qui, all’inizio, non giocavamo molto in questo modo, perché Eric (Maynor ndr) aveva qualche problema fisico. Ma ora il coach insiste sul muovere la palla, ed è perfetto per me. Sono un giocatore dinamico, veloce: se giochiamo “up&down”, con tanti tiri, ho più possibilità di andare a rimbalzo offensivo e di sfruttare la mia energia. Secondo me questa è la via migliore, prima eravamo troppo lenti.
Questa è la sua quarta stagione in Italia: nella prima esperienza a Pesaro nel 2013 (14,4 punti e 13,1 rimbalzi di media ndr) non è sembrato soffrire il classico impatto da rookie nel nostro campionato... Corretto?
Penso di sì. Avevamo un roster corto a Pesaro, giocavo 37 minuti di media e anche se facevo dieci errori a partita, avevo comunque la possibilità di giocare, di imparare e di capire. In altre squadre non è così. La stagione nelle Marche è stata molto importante per me, per crescere e per conoscere il basket italiano ed europeo. Mi ha davvero aiutato nel prosieguo della mia carriera.
Ad Avellino e Brindisi, invece, com’è andata?
Ad Avellino abbiamo avuto una stagione difficile, non siamo arrivati dove avremmo voluto ma ho comunque fatto esperienza. A Brindisi è stato divertente arrivare a metà stagione per aiutare la squadra al meglio possibile: lì il pubblico mi ha apprezzato molto.
Come si è adeguato al basket di livello europeo, che quest’anno ha conosciuto tramite la Champions League?
Mi sono trovato bene, per la squadra è stata una competizione difficile, perché molto fisica e affrontata contro formazioni di alto livello. Stiamo imparando solo ora come giocare in Champions League, adattandoci alle differenze con il campionato italiano, anche come metro arbitrale. Magari riusciremo ad andare avanti in Fiba Europe Cup, ora che abbiamo trovato un po’ di ritmo.
Pensa possa essere d’aiuto al campionato continuare in coppa? Non tutti la pensano così...
Io credo di sì, per la nostra fiducia e per capire meglio cosa vuole il coach. Ma anche per i tifosi, per l’ambiente, per la città, per tanti motivi, insomma.
Per un giocatore è davvero un problema giocare due volte a settimana?
Per me no. Se non scendessimo in campo per una partita, ci sarebbe comunque un allenamento: non fa alcuna differenza. È meglio giocare allora, per i tifosi, per l’atmosfera, per la nostra carriera: io lo preferisco sempre.
Come si trova a Varese rispetto alle altre città italiane in cui hai vissuto?
Mi piace molto la città ed oltretutto qui è tutto molto comodo per noi giocatori. I tifosi? Sono molto tosti, ma lo dico in un’accezione positiva. C’è una grande storia e giustamente si vuole la miglior stagione ogni anno. Per me è giusto, normale, e aggiungo che noi vogliamo cambiare in questo 2017 e regalare ai tifosi le soddisfazioni che meritano.
Se lo aspettava un tifo così “esigente”?
No, non me lo aspettavo. L’unica volta che ho avuto modo di capire quanto i varesini fossero così caldi è stata quando arrivai qui con Pesaro: da voi c’era coach Frates, io ero un rookie e fu molto difficile giocare a Masnago. A Varese la gente vuole vincere ed è bello, è giusto.
Lei nasce in una famiglia di nigeriani immigrati a New York ed è il settimo di otto fratelli. Come è stato crescere in una famiglia così numerosa?
Bello e brutto allo stesso tempo: bello perché impari molte cose e in molti ti proteggono se hai un problema. Brutto perché devi lottare per ogni cosa e condividere tutto in casa.
Chi è più forte, lei o sua sorella Nicky (ex giocatrice Wnba che ora ha appeso le scarpe al chiodo)?
Io, chiaramente (ride). Ma solo perché lei ha giocato a un livello più semplice del mio.
Sua sorella però è arrivata fra i professionisti... Lei, invece, continua a sognare un approdo in Nba?
Sì, ho fatto per due volte la Summer League e sarà sempre un sogno quello di giocare in Nba. Ogni volta che metti piede in campo, non sai mai chi può esserci ad osservarti e quindi ogni anno cerco di dare il massimo per avere una chance di giocare in the League.
Ha avuto una grande carriera tra l’high school ed il college (Siena) , distinguendosi sempre come un grande rimbalzista e vincendo per due anni di fila le classifiche di specialità della sua division. Sono davvero sempre state le “carambole” la sua arma principale?
Sì, i rimbalzi sono sempre stati la mia caratteristica principale, fin dall’inizio della mia carriera. Credo che i tifosi o gli allenatori solitamente apprezzino maggiormente chi segna, perché è più bello segnare venti punti. Per me però è meglio tirare giù venti rimbalzi. Ed è bello che coach Caja riconosca il mio lavoro, sa che magari non segno 20, 15 o 10 punti, ma sa che lotto ogni volta per i rimbalzi. Segnare è talento, prendere rimbalzi è lotta, energia. Se fossi un coach, prenderei qualcuno che possa lottare in ogni partita, ecco perché mi piace questo fondamentale.
Dai suoi “ricordi di scuola” emerge anche che lei è sempre stato uno studente brillante... Che lavoro le piacerebbe fare dopo la sua carriera nel basket giocato?
Mi piacerebbe rimanere nel mondo della pallacanestro, in realtà. Spesso parlo con Claudio Coldebella e gli confesso il sogno di diventare un general manager, magari anche in Italia (e per questo sto imparando anche l’italiano...). Oppure un head coach all’università negli States.
Nel suo futuro più immediato cosa vede?
Penso che, se finiremo la stagione bene, se ci salveremo, potrò anche aspirare a qualche squadra di Eurocup o di Eurolega. Credo che un giocatore che va a rimbalzo sia utile ad alti livelli in Europa. Ed il mio obiettivo è arrivare al livello più alto possibile.
Prima la salvezza, già... Magari da festeggiare come fece a Pesaro: circolano diverse foto in rete in cui si vede lei sopra il tavolo dell’Adriatic Arena come se fosse un capo-popolo dei tifosi...
Spero che accada ancora, che accada anche qui... Il punto è che abbiamo tutto ciò che ci serve, non dobbiamo cambiare o diventare matti. Dobbiamo solo continuare a lottare e a lavorare, abbiamo bisogno dei tifosi al nostro fianco, dobbiamo ascoltare il coach.
Che sfida sarà quella di domenica contro Sassari?
La Dinamo costruisce sempre squadre di talento e ha un ottimo coach come Pasquini. Dovremo essere molto concentrati sul loro talento offensivo per non farli segnare con facilità. Difesa e aggressività, un tifo caldo, e potremo vincere.
Alberto Coriele e Fabio Gandini
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