La stima di Attilio Caja, che lo ha voluto vicino nella stagione della sua “ripartenza” con Varese. L’abbraccio di quella che sempre ha chiamato e sempre chiamerà casa, di vita e di pallacanestro, una casa fatta di volti che in due anni sono mancati - tanto - e oggi rispondono con un sorriso quando lo rivedono bazzicare i corridoi di Masnago. Un bagaglio che dalla Sicilia è tornato pieno, umanamente e professionalmente, un bagaglio dal quale attingere a due mani nel ruolo di assistente in massima Serie.
Matteo Jemoli di nuovo a Varese è una bella storia. Una favola che avrebbe fatto commuovere anche nonno Carmelo (Ereddia, il “re della scintilla” che ha segnato con le sue intuizioni il motociclismo mondiale), forse uno di quelli che più aveva sofferto la partenza del nipote per Trapani. La vita è una macchina senza retromarcia, ma per fortuna esistono delle certezze: «Mi proteggerà da lassù. E io mi impegnerò per lui».
La domanda più scontata Jemoli: che sensazione prova ora che è tornato dove è cresciuto, sia come uomo che come allenatore?
Sono contento, è bello essere di nuovo a casa, così come è stato bello rivedere tante persone che non vedevo più o meno da due anni. Per questo devo ringraziare il club ed Attilio Caja, che mi hanno voluto. Non posso che essere contento di iniziare questa stagione con loro.
Cos’è questo ritorno, peraltro in un ruolo più importante rispetto a due anni fa? È una rivincita? È la prosecuzione di un sogno?
È semplicemente un percorso: ho ancora tanto da imparare e la strada è lunga. Se si lavora, se ci sono impegno, passione e voglia di fare, ad un obiettivo ci si arriva, pur mettendoci più tempo. E non bisogna avere paura di sbagliare: a non fare non si sbaglia mai, ma se uno fa, si sbatte e lavora la meritocrazia poi lo premia.
Quando è partito, si sarebbe mai immaginato di “rivedere” la panchina di Varese?
Onestamente no: avevo in mente di fare il vice a Trapani e basta. Nel nostro lavoro non puoi avere grandi traguardi perché non si sa mai... Invece è successo e ora sono la persona più felice del mondo.
Coach Ugo Ducarello come ha preso la sua partenza? In una recente intervista aveva speso parole stupende per lei: «Come io ho avuto la possibilità di allenare a casa mia, è giusto che Matteo possa coronare il suo sogno di fare il vice a Varese».
Ovviamente da un lato è stato contento, perché ho avuto l’opportunità di allenare a casa e soprattutto in Serie A. Però anche un po’ dispiaciuto, perché in questi due anni abbiamo lavorato diciotto ore al giorno fianco a fianco, ed oltre al rapporto capo-vice, c’è sempre stato come sfondo un rapporto umano di amicizia che rimarrà sempre. Lo ringrazio per le parole di qualche giorno fa, per me è un sogno, è vero, perché lavorare per la società in cui sei cresciuto è uno stimolo che ti aiuta a dare qualcosina in più, a sentirti ancora più responsabile rispetto al normale lavoro che faresti in qualsiasi altra società. C’è una componente emotiva importante nell’essere tornato qui..
Quanto pensa di essere cresciuto professionalmente in questi due anni a Trapani?
Quando sei il vice, sul campo fai sempre qualcosa di più. Ugo mi lasciava molto spazio nel lavoro individuale durante gli allenamenti, ma anche nella preparazione delle partita, nei cinque contro cinque e nelle fasi dei match. Quando ho potuto dare un suggerimento che pensavo fosse d’aiuto, l’ho sempre fatto senza problemi. Oltre al campo, quella in Sicilia è stata un’esperienza che mi ha fatto crescere come persona, perché per la prima volta sono andato a vivere da solo e molto lontano da casa.
Ci racconti un po’ di Trapani.
La città è bella specialmente durante i mesi estivi, da maggio ad ottobre. C’è tanto turismo, il centro è molto vivo. Poi basta spostarsi un poco e si va in posti splendidi come San Vito lo Capo. Durante l’inverno, invece, il lavoro ti costringe al tragitto obbligato palazzetto-casa. Ho trovato una città molto ospitale ed appassionata, con un buon seguito da parte dei tifosi. Si vive bene in generale, poi quando si vince ancora meglio.
Farà parte dello staff di coach Caja insieme a Raimondo Diamante e a Massimo Bulleri: cosa ci può dire di loro?
Conosco Raimondo, perché ha fatto le giovanili qui ed è di Varese: lo ritrovo con grande piacere. Ovviamente con Attilio avevo già lavorato tre anni fa ed è sicuramente bello ritrovarsi. Poi certo, lavorare con il Bullo sarà particolare: da atleta ed ex giocatore ci potrà dare qualche feedback che, grazie alla sua grande esperienza, sarà sicuramente utile.
La fiducia che ha Caja nei suoi confronti, ormai da tempo, si è materializzata in questa chiamata.
La proposta è arrivata di recente e mi fa molto piacere la stima che Attilio ha verso di me. Dovrò essere bravo a confermare questa fiducia e a meritarmela giorno dopo giorno sul campo.
Che tipo di squadra le piacerebbe allenare nella prossima stagione?
Sicuramente stiamo cercando dei giocatori che abbiano voglia, aggressività, desiderio di dimostrare qualcosa. Un esempio in questo senso è Stan Okoye, il primo acquisto ufficializzato, un ragazzo che porta energia e voglia di “sbattersi” in difesa o di fare un passaggio in più. Cerchiamo questo tipo di attitudine. Il suo è un percorso in costante ascesa: nell’anno che ha finito con noi a Trapani si è dimostrato capace di portare energia, difesa e rimbalzi. Ora ha migliorato anche il tiro (ad Udine ha tirato con oltre il 40% da fuori ndr). Poi è un ragazzo che non si tira mai indietro, si allena sempre al massimo e nel contesto di squadra servono uomini così.
Pensa che non avere un impegno europeo, a differenza delle ultime due stagioni, possa giovare al gruppo che verrà costruito?
No, io sono dell’idea che più giochi e meglio è. Più partite giochi, indipendentemente dalla coppa a cui prendi parte, e più cose hai da migliorare e da vedere. Giocare aiuta sempre.
Alberto Coriele e Fabio Gandini
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