
E ora che guardare indietro fa meno paura, ora che i fantasmi sono spariti, ora che i magoni sono dimenticati, ora che l’adrenalina ti ha messo le ali, l’unico limite diventa il cielo. Pazza idea di fare i playoff con lui, Attilio Caja. Anzi con loro, lui e il suo esercito spartano (fu Armata Brancaleone), protagonisti di una della metamorfosi più improbabili della storia del basket: là dove c’era la sconfitta, ora ci sono i sogni.
Pazza idea di fare i playoff con Varese. Quando un obiettivo sembra conquistato (e lo è, quasi...) bisogna porsene subito un altro, ancorché difficile se non impossibile: è il sale della vita.
Facciamo due conti, prima di raccontare la quinta perla che Varese costruisce ai danni della Capo d’Orlando (74-72 il finale) quarta in classifica. Cremona perde al fotofinish contro Sassari in casa, Pesaro rimane al palo a Trento: l’ultima piazza ora dista 8 punti dai 20 della Openjobmetis, con sei giornate ancora da giocare. Ragionevolmente parrebbe mancare una sola vittoria alla sicurezza. Giriamoci e guardiamo avanti, perché non è più peccato farlo: la settima e l’ottava piazza - in attesa di Reggio Emilia-Brescia di oggi - sono a quota 24, ma tra i biancorossi e la realizzazione di un autentico miracolo c’è una pletora di squadre (Cantù, Brescia, Pistoia, Brindisi e Torino) da superare. Servirebbe allungare il filotto e di molto, servirebbe fare la voce grossa negli scontri diretti (Cantù, Reggio Emilia e Torino), servirebbe un’impresa. Il solo poterla immaginare ad alta voce senza benedire la legge Basaglia che ha chiuso i manicomi in Italia, rende l’idea del percorso fatto dall’Artiglio e dai suoi insospettabili giocatori.
Quattro problemi
Capo d’Orlando, un problema in quattro parti. La prima: la forza intrinseca della sporca (è il caso di scriverlo) dozzina di Di Carlo. La bidimensionalità di Archie (26 punti con solo tre errori al tiro...) e l’imprevedibilità di Diener sono conferme della vigilia, le mani addosso, la garra, la “tignosità” difensiva e vocale (a portare gli arbitri dalla propria parte) sono una sorpresa.
La seconda: la giornata no in attacco dei padroni di casa. Dopo la scorpacciata di Brescia (51% da tre), Varese torna a percentuali “morettiane” (22%) dall’arco e si intestardisce in area (40%), con il suo principale cannoniere Johnson francobollato da Tepic & company, un Maynor prima impreciso poi stordito dal colpo subito nei pressi dell’intervallo e un Eyenga con il motore offensivo spesso e volentieri fuori giri.
La terza: i “grigi”. Quelli di giornata sono della peggior categoria possibile tra le tante contemplate dal mondo arbitrale: quella dei protagonisti a tutti i costi. I tre direttori di gara (Mazzoni, Quarta, Bettini) perdono subito il contatto con la realtà di una partita maschia, “cannano” due/tre fischi letali e favoriscono un nervosismo che si traduce in rissa, per la quale fanno le spese Cavaliero e Stojanovic, entrambi espulsi. Non contente, le grandi “A” appioppano tecnici a destra e a manca, fanno perdere il paradiso a Caja e a tre quarti del palazzetto e non riesco a trovare un’uniformità di giudizio nei fischi. Rovinando il match.
La quarta: i falli dei lunghi. All’inizio del seconde tempo Pelle commette la quarta penalità, Anosike passa 20 minuti a doversi gestire con tre e Caja è costretto ad andare per molti tratti con il quintetto piccolo (Kangur e Ferrero), tirando il collo all’estone e privandosi - gioco forza - di armi decisive nel recente passato.
Una soluzione di gruppo
La risposta del gruppo è da campioni, ispirata da un’Artiglio “talebano” nel suo credo (Avramovic non si alza dalla panchina nemmeno stavolta, nonostante la mancanza in itinere del capitano). Come al solito, ha ragione lui. La Varese che non riesce a segnare dall’arco e che un po’ si specchia nella propria ritrovata bravura (tiri costruiti ariosamente ma con qualche fronzolo di troppo) tiene un vantaggio costante grazie a una retroguardia assatanata (11 recuperi e 5 punti concessi a Capo nei primi otto minuti dell’ultimo quarto), nella quale si segnala il sacrificio dello stopper Eyenga, soprattutto su Diener. Dall’altra parte della luna, invece, a decidere sono l’intelligenza del Johnson “spuntato”, che trova buone penetrazioni e poche forzature (15 punti e 7/7 ai liberi), la clamorosa prestazione a rimbalzo di Kangur (10 carambole da chi, un mese fa, non riusciva più a saltare la Gazzetta), l’entusiasmante cammeo di Bulleri (9 punti e un paio di canestri salvifici) e un Ferrero nato pronto da 11 punti in soli 16 minuti di permanenza sul parquet. Una menzione la merita anche Anosike (12 punti e 9 rimbalzi in 18 minuti), che nel “ciapa no” dell’ultimo quarto - e contro un bruttissimo cliente come Delas - segna cesti di lotta e di governo, importanti come una bombola d’ossigeno sull’Everest.
Quindi? Quindi prima si respira e poi si sogna. Regalandosi una serata in cui cullarsi al pensiero che una squadra che vince cinque partite di fila, in cinque modi diversi (l’ultima di nervi, con la faccia brutta e cattiva) e contro cinque avversari che non le hanno regalato nulla, ora appartenga più al cielo che agli inferi. Comunque vada a finire.
Fabio Gandini
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