
Dubbi e certezze. Dubbi: nessuno pensi che la corsa sia finita qui. Perchè ne manca di sofferenza a “far felici” le budella la domenica pomeriggio prima di alzare la bandiera della salvezza. Soprattutto in un campionato, vittima di un livello appiattito verso il basso, in cui non esiste alcunché di scontato.
Certezze: la Openjobmetis Varese, all’alba del mese di marzo, ha finalmente trovato un’anima, collettiva come somma di quelle individuali, su cui contare.
Non puoi prevedere il momento in cui un insieme di singoli diventa una squadra: ci sono assemblaggi tecnici e umani che ci mettono mezza giornata di ritiro per diventarlo e ce ne sono altri sui quali nemmeno la colla sa far presa. Di certo, quando la metamorfosi si compie, te ne accorgi: vinci contro Pistoia la partita della paura, da ultimissimo (non ultimo) in classifica; poi vai a vincere ad Avellino, contro la seconda della classifica di cui sopra, resistendo ai ritorni di un organico con tecnica e talento superiori; infine batti Pesaro nel match più importante della stagione, in recupero e contro un’avversaria mezza disperata e disastrata e quindi difficilissima da affrontare.
Avere un’anima significa non mollare quando sei sotto, significa difendere insieme al compagno quando l’uno non può fare a meno dell’altro, significa essere in grado di tirare fuori una coscienza di gruppo capace di sopperire a qualunque mancanza: di talento, nelle percentuali di tiro, nell’esecuzione dei giochi. Significa svoltare.
Più forti delle difficoltà
Varese ha la meglio su Pesaro dilagando nel finale (finisce 93-78 con dieci punti a referto nell’ultimo minuto) e si scopre finalmente dentro, per la felicità di un palazzetto pieno (4474 paganti) e di chi la speranza non l’ha mai persa. Ora la graduatoria, si parta da qui, fa meno paura: il confronto diretto con i marchigiani è sul 2-0 e Cremona perde in casa contro Capo d’Orlando, combinazione che regala ai biancorossi il +4 sull’ultimo posto e sulla stessa Consultinvest. Poco sopra, Cantù vince a Caserta, va a 18 (+2 su Varese) e inguaia gli stessi campani nella lotta per evitare la retrocessione. Sì è ancora lunga, ma in compagnia si sta decisamente meglio.
Avere ragione di Ceron e compagni non è stato per nulla facile, e non solo per la prevedibile scossa data dal cambio di allenatore avvenuto in settimana (via Bucchi, dentro Leka). Tanti e tanto grandi sono i grattacapi, anche tattici, per i biancorossi, tali da farli sudare per 35 minuti abbondanti, tali da scrivere un +9 Pesaro all’intervallo e un +11 nel terzo quarto. La marcatura di Jones (25 punti e 10 rimbalzi) in primis: Caja prova a chiedere gli anticipi, ma questi vengono facilmente elusi e gli aiuti - talvolta in ritardo - servono a poco. I rimbalzi, poi: Varese soffre maledettamente la presenza fisica degli uomini di Leka e concede quei secondi tiri sui quali gli ospiti costruiscono il loro allungo.
Il pick and roll, infine: la bidimensionalità dello stesso Jones diventa un problema enorme per Anosike, costretto a uscire dall’area troppo spesso per i suoi gusti.
Maestro Artiglio
Se a tutto questo si aggiungono diversi passaggi a vuoto, quantomeno in retroguardia, nei primi venti minuti, ecco sviscerato il resoconto completo di tutte le difficoltà.
Dalle quali Cavaliero e sodali escono di squadra nel secondo tempo. Dopo aver subito 29 punti nel secondo quarto (51 al 20’), la pressione sulla palla confonde le idee ai registi Consultinvest e instrada una rimonta più difensiva che offensiva: 18 punti concessi nella terza frazione, addirittura 9 nell’ultima. L’attacco, per nulla disprezzabile nemmeno nei venti minuti inaugurali (60% da 2 e 41% da tre le cifre finali, con l’incredibile dato di sole 6 palle perse), da una retroguardia del genere trova linfa vitale e velocità, sorpassando i marchigiani e completando l’opera nel finale.
Un’opera a tante mani. Quelle di Johnson (20 punti, 50% da tre), killer nei momenti decisivi davanti e autore di frangenti monumentali dietro. Quelle di Eyenga, messo sul secondo osservato speciale dei biancorossi rivieraschi, Thornton: il congolese, ben gestito da Caja con i falli, lo cancella dal campo. E fa il suo in attacco (15 punti). Quelle di Anosike, che - in un match difensivamente complicato per lui - tira fuori una prova da 18+11 (recuperando a rimbalzo nel finale) e da 8/8 (!) ai tiri liberi. Quelle di un Kangur in netta ripresa, ieri assai più efficace di Ferrero nel secondo tempo per la conformazione fisica dei contendenti. Quelle di Maynor, infine, comandante in capo con le stellette al petto della classe e del talento: 15 punti, 8 assist, i canestri giusti, una leadership offensiva imprescindibile.
Una squadra, insomma. Che in due mesi ha preso il posto del deserto grazie al lavoro (lungo, faticoso, duro) dell’Artiglio da Pavia. Se oggi Varese ha un’anima - là dove c’erano solo egoismi, confusione, incapacità di credere in se stessi e nei compagni - lo deve soprattutto a lui.
Fabio Gandini
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