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Varese "operaia" non piace ai tifosi?


simon89

Segnali negativi più dal botteghino che dal campo in occasione nell'esordio stagionale casalingo contro Venezia. I 3550 spettatori che hanno assistito al match di domenica rappresentano il peggior dato delle ultime 28 gare di campionato al PalA2A: un'affluenza così bassa non si registrava dai 3412 paganti del 18 ottobre 2015, in occasione della Varese-Pesaro che seguiva lo choccante debutto negativo di due anni fa con i 51 punti segnati contro Caserta. Oltre 400 presenze in meno della media del 2016-17, quando il dato peggiore fu il posticipo di lunedì 27 febbraio tra Varese e Pistoia: 3665 presenze per la prima delle sei vittorie consecutive che proiettarono verso la salvezza anticipata la truppa di Attilio Caja. Un dato da valutare anche alla luce della diretta TV e dell'orario serale che possono avere inciso sul totale delle presenze. Ma è il numero insolitamente basso dei biglietti staccati - oltre 250 in meno rispetto alla media del 2016-17 - da analizzare con attenzione perché si riflette sull'incasso (circa 51 mila euro lordi compresa la quota abbonati) che da sempre costituisce una voce di primaria importanza nei conti della Pallacanestro Varese.

Se l'esordio a Masnago contro i campioni d'Italia in carica suscita un appeal tutt'altro che eclatante, quali saranno le risposte dei tifosi in occasione delle prossime gare casalinghe, considerando anche gli ulteriori cambi di data e orario (il derby contro Cantù è stato posticipato alle 20.45 di lunedì 16 ottobre) per esigenze televisive? La chiave di lettura più immediata riguarda le presenze che rappresentano una fondamentale cartina di tornasole rispetto alle politiche del club. Se da un lato gli abbonati (meno 5,5% rispetto al 2016-17), in qualità di fedelissimi nonché più addentro alle scelte strategiche della dirigenza, hanno condiviso e sposato la scelta obbligata di fare il massimo con le risorse disponibili limitate dal taglio del budget, i paganti più "occasionali" (meno 24,6% all'esordio) hanno preferito la comodità del divano e della diretta TV alla luce del potenziale squilibrio dei valori in campo, poi confermato dal campo. È possibile una inversione di tendenza nella scelta dei big-match, con una predilezione per gli scontri diretti in chiave salvezza (lo scorso anno Varese-Pesaro fu il record di presenze a 4413 paganti) piuttosto che per le sfide contro le grandi?

Quel che è chiaro è che una fetta di pubblico fatica a trovare nella Varese operaia almeno un giocatore che valga il prezzo del biglietto. Una situazione che si scontra con la situazione economica attuale e pregresse di un club che per troppi anni, nel tentativo di assecondare il palato fine della piazza, ha inseguito sogni estivi diventati incubi invernali. Quegli errori si pagano oggi in termini di scelte obbligate: il Dominique Johnson di Venezia vale da solo il 30% del monte stipendi della Varese 2017-18, costretta a ripiegare su alternative dal profilo totalmente diverso. L'identità operaia potrà anche non divertire, ma per fai" fruttare le limitate risorse disponibili, è quella che più si confà alla contingenza di un club che ha preferito investire sui BOT dal rendimento limitato ma sicuro (leggi elementi dal talento non elevato ma già esperti del basket europeo) che giocare in borsa in cerca del colpo grosso col rischio di bruciare il capitale (leggi scommesse su rookie e D-Leaguers a basso costo ma senza certezze di ambientamento).

Giuseppe Sciascia


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